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Lo chef Walter Passeri del Castello di Petroia: la Storia nel piatto (parte I)

2017-02-24 Se il caso esiste, fa bene i suoi conti. Dopo aver terminato gli studi, lo chef Walter Passeri sognava di diventare vigile urbano. Poi, casualmente, quell’estate decise di andare in vacanza a Losanna, in Svizzera, a casa di amici di famiglia. Un mese galeotto. Ebbe modo di conoscere tante persone che lavoravano nella ristorazione e si chiese: e se i menu fossero meglio delle multe?
Mai domanda fu più appropriata. Dopo aver frequentato l’Ecole d’Hotellerie di Losanna, per apprendere tutte le tecniche della ristorazione sia nei servizi di cucina che di sala, Passeri si è fatto le ossa nei grandi hotel internazionali, dal Savoy di Londra al Palace Hotel di Sant Moritz, prima di aprire un suo ristorante nel 1979. A questo è seguita l’Osteria del Bartolo a Perugia, con cui si è meritato una stella Michelin, e altri due locali, di cui è stato proprietario e gestore.
Oggi, lo chef perugino è al timone della cucina del Castello di Petroia, stupendo relais immerso nell’incontaminata natura delle colline di Gubbio, in provincia di Perugia. Proprio tra le mura di quest’antica dimora medievale, è nato nel 1422 Federico da Montefeltro, Duca di Urbino, uno degli uomini più influenti del Rinascimento italiano. Ritratto da Piero della Francesca in cappello e abiti rossi nel celebre dipinto custodito agli Uffizi di Firenze, il suo profilo del naso curvo è ormai diventato un’icona pop.
Grazie a un attento restauro, le tredici camere del maniero, circondato da 130 ettari di parco con piscina e maneggio, conservano, ancora oggi, un forte carattere storico e il ristorante permette un tuffo indietro nel tempo, per sentirsi signori del castello almeno una volta nella vita.
Qual è il piatto che la rappresenta di più, chef Passeri?
«Il Bottaccio, che è un piatto umbro del Seicento: una pietanza che la servitù realizzava con quello che rimaneva dalle tavole dei signori. È uno sformato di pane, che io propongo come antipasto, realizzato con pane raffermo, carne di salsiccia sbriciolata, verdura – di solito verza o cavolo in inverno, e bietole in primavera – e pecorino piccante di Norcia. Nel crearlo, mi sono attenuto alle fonti storiche. Ho solo aggiunto la salsiccia, sgrassandola per rendere il piatto più leggero».
Che atmosfera si respira nel suo ristorante?
«La struttura, essendo del Duecento, fa sì che si respiri un’atmosfera raffinata e calda, d’altri tempi, con arredi storici, luci soffuse, candelabri. Qui mi sento ispirato a recuperare ricette antiche per adeguare la mia cucina alla Storia».
Quali altri piatti storici propone, oltre al Bottaccio?
«Per esempio, i Penchi (o Strascinati) della Valnerina, un piatto del Trecento. Leggendo la storia di una signora di Cascia dell’epoca, ho ricostruito la ricetta: la pasta era fatta da una sfoglia all’uovo, arrotolata con aghi di ferro da calza e poi tagliata, condita con guanciale e ricotta. Oppure la Carne di suino saporita in bigonza, il recipiente dove si raccoglie l’uva in ottobre. È un piatto umbro del Cinquecento. Si utilizzavano le parti grasse e meno nobili del maiale, si mettevano a marinare nella bigonza con erbe spontanee, sale e l’acquaticcio o acetello. Dopo 48 ore, la carne si appendeva ad asciugare, e si consumava cruda, tagliata grossolanamente. Io uso il lombetto di maiale completamente sgrassato e scelgo un vino bianco molto leggero per la marinatura. Affetto la carne marinata sottilmente e la condisco con un olio di semi di uva».
Tra i dessert?
«Ripropongo il rinascimentale Bianco Mangiare, che all’epoca non era necessariamente un dolce e poteva essere servito come antipasto. È preparato con latte di mandorle, mandorle, zucchero, cannella e miele. Lo riproduco fedelmente, anche se, per le proporzioni degli ingredienti, ho la mia ricetta».

Mariagrazia Villa

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