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Lo chef Walter Passeri del Castello di Petroia: la filosofia in cucina (parte II)

2017-02-27 Eccoci ancora con lo chef Walter Passeri del Relais Castello di Petroia, antica dimora del Duecento incastonata nelle colline di Gubbio, in provincia di Perugia. Dopo aver ascoltato i piatti storici che propone sulla carta del suo ristorante, oggi conosciamo meglio i valori che guidano la sua professione.
Qual è la sua idea di cucina, chef Passeri?
«Ho due filosofie: una creativa e una storica. Da un lato, a me non piace copiare i piatti altrui, ma metterci sempre il mio marchio. Prendo spunto dal lavoro dei colleghi, ma ogni volta, nella creazione di un piatto, inserisco qualcosa di personale. Dall’altro lato, vado alla ricerca dell’antica cucina umbra, che ripropongo adeguata ai nostri tempi. Rivisito i piatti storici soprattutto nella presentazione e nell’apporto calorico, riducendo il loro contenuto in grassi, per renderli più adatti al nostro stile di vita, più sedentario di quello dei secoli passati».
La sua cucina, comunque, è di sostanza, più che di forma.
«Ogni mio piatto non deve essere all’acqua di rose, ma avere la propria personalità. Ah, ho anche una terza filosofia: fare tutto in casa. Io personalmente produco il pane, il burro, le paste e i dolci. Le materie prime le trovo ogni mattina al mercato, di produzione locale e di qualità».
Un suo piatto come nasce?
«Il primo passo per la riuscita di un piatto è la materia prima. Dopo, subentra la mano dello chef. A volte, prendo ispirazione da alcune ricette che assaggio, da un viaggio, dal giro al mercato… Si accende una lampadina e, da lì, parte la creazione. Ma non è scontato che, provando a fare il piatto, questo venga bene… Potrebbe essere squilibrato. In altri casi, invece, viene subito bene o va soltanto tecnicamente smussato, ma funziona. A volte, mangiando insieme certi prodotti può nascere un’idea. Per esempio, io ero solito abbinare la marmellata di cipolla rossa di Cannara a un formaggio, poi ho iniziato a mangiarla con i fegatini di pollo, e adesso la propongo in carta».
Come chef, che qualità pensa di possedere?
«Anzitutto, non cambierei il mio lavoro con nessun altro! Sono sicuro che tutto l’amore che metto nel mio mestiere traspaia nel piatto e arrivi a chi lo gusta. Il messaggio dei miei piatti rimane nel cuore dei clienti, anche a distanza di anni… Come chef, penso di possedere una mano equilibrata: nel preparare un piatto, cerco sempre l’armonia».
Cos’è per lei un “cibo etico”?
«Un cibo del territorio, che ha funzionato in passato e può funzionare anche oggi, se lo si attualizza. È un modo per utilizzare i prodotti locali e onorare la tradizione».
Come si pone rispetto alla tradizione e all’innovazione?
«Sono un lettore di testi storici e, tra le righe, cerco sempre di carpire delle indicazioni di cucina e, poi, con la fantasia provo a ricostruire i piatti. L’innovazione sta nella curiosità, e io sono curioso, cerco di non fossilizzarmi solo su un certo tipo di cucina. È importante conoscere le innovazioni, per poi valutarle e compiere le proprie scelte».
Il cibo può nutrire l’anima?
«Sì, non nutre solo il nostro corpo. Ci fa provare emozioni, e queste sono qualcosa di spirituale».

Mariagrazia Villa

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