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Food&Kitchen: risponde l’architetto Pier Carlo Bontempi

2017-02-06 Dal suo studio in provincia di Parma, Pier Carlo Bontempi ha spiccato il volo verso una fama internazionale. Si occupa, da ultimo umanista, di architetture tradizionali di nuova fondazione, di progetti di restauro e ricostruzione e anche di pianificazione urbana.
A uno dei suoi ultimi lavori, il Labirinto della Masone a Fontanellato per l’editore Franco Maria Ricci, il gruppoGranitiFiandre ha dedicato una bella mostra nel 2015.
Il primo pensiero, architetto, quando entra in cucina?
«La nostalgia. La cucina era il mio regno fino a che mia moglie ha imparato a cucinare e mi ha completamente estromesso. Adesso è il luogo del desiderio. Mi rifaccio la domenica, andando a cucinare per una quindicina di persone in una casa che accoglie ospiti in difficoltà».
Il piatto più rappresentativo della sua vita e perché.
«I tortelli di zucca. Un piatto tipico del nostro territorio; dimostrazione pratica che la tradizione è “un insieme di invenzioni riuscite”. La zucca entrata nella nostra tradizione gastronomica è un ortaggio dono dei nativi d’America. Prima di Colombo, in Europa si conoscevano solo varietà decorative».
Il vino che le fa battere il cuore?
«Forse non è neanche un vero vino, ma è la Fortana, bevanda rosso chiaro molto frizzante, con una corposa schiuma rosa e forse 6-7 gradi alcolici. È il vino della mia infanzia. Un vino innocuo anche per un bambino, ma vino quanto basta per farti sentire grande».
Cos’è per lei il top in cucina?
«Mettere a tavola la mia famiglia e mangiare insieme. Se i piatti hanno autori diversi, ancora meglio. Siamo in cinque, tra vegetariani moralisti e carnivori sfegatati. Una vera festa».
Quale ingrediente non può mai mancare?
«Tre cose non devono mancare in cucina: pane, olio e vino, alimenti biblici. Salmo 104: “Il vino che allieta il cuore dell’uomo, l’olio che fa brillare il suo volto e il pane che sostiene il suo vigore”. Una fetta di pane scaldato con sopra un poco di olio e un bicchiere di vino rosso, ed ecco un pasto da re».
Qual è l’oggetto più divertente che ha in cucina?
«Il frullatore a immersione. L’aggiusta tutto con cui preparo creme deliziose per chi non è più in grado di masticare. Una vera bacchetta magica».
C’è un piatto che vorrebbe sperimentare?
«Una insalata di ovuli [Amanita cesarea, n.d.r.], olio sale e poco pepe, perché vorrebbe dire una raccolta straordinaria. Poi filetti di coprino [Coprinus comatus, n.d.r] scottati in una spuma di burro sfrigolante. Una vera benedizione».
Qual è la ricetta che le viene meglio?
«L’uovo fritto, con il bordo dell’albume leggermente dorato e il tuorlo cremoso. Si deve poi accompagnare con una salsa rossa a base di concentrato triplo di pomodoro, diluito con brodo, sale, zucchero, una goccia di aceto e di olio, precedentemente aromatizzato con aglio e scalogno a macerare e poi tolti. Può starci una spolverata di Parmigiano Reggiano non troppo stagionato, ma io preferisco senza».
Quali qualità apprezza in un cuoco?
«La continuità. Io, cuoco dilettante, ambirei ad un risultato costante che a volte sfugge».
Che significato ha per lei il cibo?
«È il fondamento del senso di comunità, la ragione del vivere insieme. Mangiare da soli è una dimensione animale non umana. Il cibo è convito e relazione».

Mariagrazia Villa

Fotografie: Mauro Davoli (1-3)

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