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Teatro delle Ariette: lo spettacolo è in tavola

2017-01-30 Fa teatro fuori dai teatri. Nelle case, nei campi, nei depositi di attrezzi agricoli. E propone un’esperienza di vita, cercando una forma di comunione con il pubblico attraverso il cibo. Un cibo biologico, coltivato nell’azienda agricola “Le Ariette” di Castello di Serravalle – Valsamoggia (Bologna), cucinato direttamente in scena e condiviso con gli spettatori. È il Teatro delle Ariette.
Paola Berselli e Stefano Pasquini, attori professionisti e contadini per scelta, sono i soci fondatori, insieme all’attore Maurizio Ferraresi, che condivide il percorso, ma non vive nell’azienda agricola, di questa singolare realtà, nata, come associazione culturale, nel 1996, e diventata compagnia teatrale nel 2000.
«Il nostro è un teatro di relazione – raccontano Paola e Stefano, che si autodefiniscono “due spaventapasseri innamorati” –, e avviene in spazi come il Deposito Attrezzi, un edificio rurale per il teatro sorto nel podere “Le Ariette”, che può ospitare venticinque, trenta spettatori, non di più. Si crea una situazione molto intima, in un luogo senza palco e platea, dove noi attori condividiamo gli spazi con gli spettatori. Come in un rito, ci sono gli officianti e i partecipanti, e non i realizzatori e gli osservatori».
In “Teatro da mangiare?”, lo storico spettacolo da voi prodotto nel 2000 e giunto ormai alle mille repliche, combinate sul palco, in modo originale e famigliare, il teatro e la vita vissuta, la parola recitata e la tavola imbandita.
«Il cibo è, da una parte, elemento della drammaturgia degli spettacoli: può essere fonte d’ispirazione o conseguenza, ma è sempre presente. Attorno a un tavolo con qualcuno che ti accudisce si sta bene… Dall’altra, è anche elemento materiale perché, raccontando un’esperienza di vita, si ha la possibilità di introdurre nell’azione teatrale un elemento materiale».
Questa dimensione della materia porta con sé elementi importanti, come i gesti necessari a trasformare le materie prime in alimenti.
«Sostituisce i gesti astratti con gesti concreti, e fa entrare in scena elementi sensoriali, come i rumori che si producono cucinando, gli aspetti tattili, visivi e anche olfattivi. Elementi che riattivano nella nostra memoria sentimenti, emozioni, ricordi. Assieme ad oggetti, quali il tavolo, le posate, i bicchieri, i piatti, le bottiglie, elementi normalmente extrateatrali che prendono una dignità da protagonisti».
Gli oggetti e le azioni del quotidiano, grazie a quest’azione teatrale, ci vengono rivelati nella loro essenza più profonda, che spesso dimentichiamo o sottovalutiamo, usandoli tutti i giorni.
«Il teatro li ripone al centro e suggerisce che la nostra vita quotidiana è molto interessante e piena di misteri. È magica e straordinaria, a seconda di come noi sappiamo percepirla. Questo teatro trasfigura la quotidianità e cerca di amplificarne la percezione. Come fa l’arte con la nostra vita».
È mai capitato che qualche spettatore vi abbia invitato a casa propria?
«Sì. Con “Teatro da mangiare?”, gli spettatori hanno iniziato a invitarci a cena da loro. Lo spettacolo ci ha aperto le cucine di varie zone d’Italia e d’Europa...».

Continua la nostra intervista a Paola Berselli e Stefano Pasquini, due attori professionisti e contadini per scelta. I prodotti del loro podere salgono sul palco ed entrano in una sfera rituale, che diventa nutrimento sentimentale

«Tutto il nostro teatro – spiegano Paola Berselli e Stefano Pasquini, soci fondatori del Teatro delle Ariette di Castello di Serravalle – Valsamoggia (Bologna) – nasce dal desiderio di condividere una riflessione su noi stessi, perché, parlando di qualcosa di intimo, si crea il terreno privilegiato per una condivisione. La nostra autobiografia, pur conducendo una vita del tutto normale, risuona negli spettatori e attiva un loro percorso autobiografico. Il nostro è un teatro corale. Siamo individui dentro una comunità».
Come dite voi stessi, “l’autobiografia ci ha portato questo regalo: piuttosto che parlare di tagliatelle, era meglio provare a farle in scena”. Il cibo è fondamentale nei vostri spettacoli.
«Credo non sia un caso che Paola sia nata in campagna, figlia di mezzadri, e che io, pur essendo nato in città, con una formazione più disneyana, non abbia frequentato l’asilo, ma sia stato in cucina con la mia nonna, di fronte all’universo magico della trasformazione delle materie prime in cibo. Questo ha segnato la formazione del nostro immaginario. Accogliere gli amici in cucina accanto al fuoco, con un piatto e un bicchiere di vino, ci ha portato a immaginare il teatro come momento di condivisione profonda, in cui fosse presente il cibo».
Com’è cambiato il rapporto con il cibo, quando siete venuti al podere “Le Ariette”?
«È cambiato radicalmente. Siamo entrati nel ciclo naturale di produzione e raccolta delle materie prime. Abbiamo iniziato ad alimentarci con quanto la terra ci dava. Nella relazione con la natura e la sua stagionalità, si rientra in un ritmo che fa cambiare la percezione del cibo. I propri desideri si modellano su quanto la natura offre e si entra in un rapporto più ecologico con il mondo. Oggi, come dice Paola in “Matrimonio d’inverno, diario intimo” del 2010, tanti di noi, non potendo vivere il cibo nella bellezza e pienezza del suo ciclo, sono costretti a viverlo come un peccato, a goderne nella trasgressione, sia che mangino poco sia che mangino troppo».
Il cibo può nutrire l’anima?
«Il cibo è, anzitutto, un alimento, ma il piacere che provoca ti mette in contatto con l’universo, e la vita ti sembra meravigliosa. Quello che più mi colpisce del cibo è il suo aspetto culturale, più ancora che spirituale, e la sua funzione di educazione sentimentale: per noi esseri umani, e per i mammiferi in generale, il rapporto con il cibo nasce da una relazione affettiva con un’altra persona, con la madre che ci nutre e ci porta alla vita. Il cibo porta con sé aspetti relazionali ed emotivi molto forti: riunirsi attorno a un tavolo, mangiare insieme, dare un nome ai piatti… Entra in una sfera rituale che attiva un nutrimento sentimentale».

Concludiamo l’intervista a Paola Berselli e Stefano Pasquini, ripercorrendo le portate di vent’anni di cibo in scena. Dalle tagliatelle fatte a mano al fricandò di verdure saltato in padella, dalle tigelle calde ai tortellini in brodo di manzo e gallina

Quali sono stati i menù degli spettacoli del Teatro delle Ariette, la compagnia nata vent’anni fa nel podere “Le Ariette” in località Castello di Serravalle – Valsamoggia (Bologna)? Quasi in ogni loro spettacolo, gli attori-contadini Paola Berselli e Stefano Pasquini hanno portato in scena i prodotti della loro terra. Li hanno cucinati sul posto e condivisi con il pubblico.

In “Teatro da mangiare?” (2000), il menu del debutto a Volterra è stato:
• Pomodori, cetrioli e scalogni sott’olio delle Ariette, accompagnati da salsa di yogurt al basilico secco e da pane steso, cotto al testo
• Parmigiano Reggiano biologico e salsiccia passita
• Tagliatelle semi-integrali al pesto di noci, nocciole e rosmarino

In “Prima di Pasolini” (2002), gli spettatori si sono trovati davanti, nel teatro rurale del Deposito Attrezzi dell’azienda agricola “Le Ariette”, una grande tavola imbandita con:
• Ricotta fresca, miele e ciliegie
• Pane, salame e formaggio
• Vino rosso

Per “Teatro di terra” (2002), il menu è cambiato nel tempo, ma ora si è arrivati all’essenza:
• Mandorle tostate e salate
• Polenta gialla con olio extravergine di oliva, parmigiano e rosmarino.
«Nel tempo abbiamo avuto – spiega Stefano – elementi che ogni tanto ritornano in occasioni speciali: ragù di salsiccia, friggione non fritto, zuppa di spinaci e patate».

In “Secondo Pasolini” (2003), si mangia e si beve seduti su un prato:
• Pane, formaggio e olive
• Panzanella (zuppa fredda a base di pane raffermo, pomodori e cipolla rossa)
• Vino rosso

In “L’estate.fine” (2004), «abbiamo coltivato un campo a Santarcangelo da gennaio a luglio, con mais e ortaggi, per costruire la scenografia vegetale vivente dello spettacolo. Poi abbiamo utilizzato gli ortaggi del campo per cucinare e mangiare insieme al pubblico». Questo il menu:
• Aperitivo col Macchiatino di Greg (vino bianco corposamente macchiato col Campari) e patatine fritte
• Fricandò di verdure saltato in padella con piadina romagnola

Per “Dans ma maison” (2006), spettacolo coprodotto con Théatre de Chambre (Francia), Paola e Stefano hanno preparato le tigelle e proposto questo menu:
• Tigelle calde accompagnate da formaggi e salumi tipici del luogo dove si fa lo spettacolo
Anche in “È finito il tempo delle lacrime” (2007) hanno proposto
: • Tigelle calde preparate al momento con pecorino dolce dei colli bolognesi, mortadella, salame rosa, prosciutto e salame

Per “Matrimonio d’inverno, diario intimo” (2010), «spettacolo che si svolgeva nella cucina di casa nostra, a lume di candela, con il camino acceso, con otto spettatori, accolti alla nostra tavola con un tradizionale pranzo di nozze dei contadini bolognesi», ecco il menu:
• Vino Pignoletto frizzante Corte D’Aibo e pane semi-integrale a pasta dura Crocette
• Tortellini in brodo di manzo e gallina
• Lesso di gallina e manzo, accompagnato da salsa verde e patate lessate
• Zuppa inglese
«Tutto servito su una bellissima tovaglia ricamata, regalo per le nostre nozze. Piatti, vassoi e zuppiera del servizio antico della mamma di Paola, con le rose disegnate sulla porcellana avorio con bordo dorato».

In “Teatro Naturale? Io, il couscous e Albert Camus” (2012), Paola e Stefano offrono al pubblico:
• Mandorle tostate e salate, taralli e vino rosso
• Couscous cotto al vapore con verdure di stagione (tagliate dagli spettatori durante lo spettacolo) cotte nel loro brodo

Per “Sul tetto del mondo” (2014-2015), il menu del 18 giugno 2014, festa delle nozze d’argento di Paola e Stefano, è stato:
• Pane Cafone del forno Garagnani
• Zucchine, bietole e cicoria saltate in padella
• Ricotta fresca
• Tagliatelle semi-integrali con olio extravergine di oliva
• Ciambella delle Ariette e del forno Garagnani
• Vino Pignoletto frizzante Corte d’Aibo

In “Tutto quel che so del grano” (2016), viene preparata sul palco, cotta e poi condivisa con il pubblico:
• Focaccia morbida
«È un alimento che è il fondamento della nostra civiltà alimentare. Agli spettatori - conclude Stefano - chiediamo di portare da casa focacce o altri prodotti a base di grano, come torte, pizze, pani, per condividerli con gli altri nel tempo che viene dopo lo spettacolo, il tempo importante in cui mangia tutti insieme e ci si conosce».

Mariagrazia Villa

Fotografie: Stefano Vaja

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