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Museo del Parmigiano Reggiano: il processo produttivo del formaggio

2017-09-22 Da vedere e, soprattutto, da imparare, al Museo del Parmigiano Reggiano di Soragna, nella Bassa parmense, c’è davvero tanto.
Il caseificio dove oggi ha sede il museo è stato fatto costruire dal principe Casimiro Meli Lupi attorno al 1850. In stile neoclassico, con pianta circolare e colonnato, è l’unico edificio di questo tipo oggi esistente: nel Parmense, infatti, i caselli erano e sono ancora oggi generalmente a pianta quadrangolare, mentre nel Reggiano ottagonali.
L’itinerario espositivo del museo, curato dallo storico dell’alimentazione Mario Zannoni, si snoda lungo tre sale: il corpo più antico del fabbricato, allestito come un caseificio dei primi anni del Novecento, il salatoio interrato e la camera del latte sopraelevata, corpi di fabbrica aggiunti nel secondo dopoguerra al casello storico.
Suddiviso in diciotto sezioni tematiche, il museo si apre con una descrizione della stessa sede espositiva e il racconto del processo produttivo del Parmigiano Reggiano, poi approfondisce la storia del celebre formaggio, ne ripercorre gli aspetti culturali e gastronomici, senza dimenticare la commercializzazione, e si conclude in un Museum Shop, dove è possibile acquistare pubblicazioni, poster, cartoline, oggetti per la tavola e la cucina e prodotti tipici del territorio, tra cui il Parmigiano Reggiano con il suo kit di degustazione.
Cosa succedeva all’arrivo del latte al casello, conferito dai contadini della zona la sera e il mattino presto? Alla domanda risponde la prima sezione, mostrandoci gli strumenti presenti in un caseificio dell’inizio del XX secolo. Viene messo in luce come l’affioramento della panna, dal latte della sera lasciato riposare in appositi recipienti, e la sua scrematura siano fondamentali per la produzione del Parmigiano Reggiano: se, per assurdo, non si togliesse la panna, il formaggio non verrebbe più buono: esploderebbe! La scrematura (come la salatura per osmosi) è fondamentale per tenere a bada i batteri e produrre un formaggio duraturo. E la panna tolta per fare il formaggio? Si utilizza per la produzione del burro, anch’essa raccontata all’interno del museo.
Ci vengono mostrate le razze bovine allevate per la produzione del latte nella zona di produzione del formaggio (province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Mantova a destra del Po e Bologna a sinistra del Reno) e spiegata la tecnologia del siero-innesto (ottenuto dalla lavorazione del giorno precedente e fermentato), che serve ad arricchire di batteri lattici il latte al fine di trasformarlo in Parmigiano Reggiano, e mostrata la tecnica di trasformazione e gli attrezzi necessari. Con una doverosa sezione dedicata al controllo del latte, le analisi e l’igiene nel caseificio.
Le due grandi caldaie a forma di campana rovesciata esposte al museo sono i recipienti in rame utilizzati per la cottura del latte (la caldaie sono ancora oggi in rame perché è un metallo che consente un’ottima conduzione del calore). La più antica è quella a fuoco diretto di legna ed è databile alla seconda metà dell’Ottocento; l’altra a doppio fondo con camicia esterna in ferro e sistema di riscaldamento a vapore, risale al 1949.
Dopo aver illustrato il processo della formatura, nelle cosiddette fascere, il museo ci racconta anche la salatura, che avviene a immersione, perché metodo più efficace di quello a secco nel gestire processi fermentativi indesiderati, e la stagionatura, con due momenti che servono a stabilire la qualità della forma: la battitura con il martelletto per intercettare forme con fratture o cavità, che vengono declassate, e la valutazione dell’aroma del formaggio, con un ago a vite, detto goccia, che s’infila sotto la crosta della forma e viene annusato all’estrazione da un esperto.
 
Mariagrazia Villa
 
Fotografie: © Musei del Cibo della provincia di Parma

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