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Museo del Parmigiano Reggiano: piccola storia del Re dei Formaggi

2017-09-20 Il debutto letterario risale alla metà del Trecento. Il Parmigiano Reggiano, infatti, fiore all’occhiello dell’arte casearia italiana e internazionale, viene citato da Giovanni Boccaccio nel suo Decamerone, a proposito dell’immaginario paese di Bengodi: “Et eravi una montagna tutta di formaggio Parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti, che niuna altra cosa facevan, che fare maccheroni e raviuoli e cuocerli in brodo di capponi, e poi li gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava, più se n’aveva”. Un paesaggio niente male, eh?
Il debutto “espositivo”, invece, è molto più recente: 30 novembre 2003. Proprio in quel giorno, è stato inaugurato il Museo del Parmigiano Reggiano (il primo dei Musei del Cibo della provincia di Parma a venire alla luce), allestito a Soragna, nella Bassa parmense, in un antico casello ottocentesco. Un luogo di produzione che è diventato luogo espositivo, per raccontare e mostrare come si produca il Re dei Formaggi in ogni sua fase, dall’arrivo del latte alla commercializzazione delle forme, passando attraverso mille curiosità storiche e approfondimenti tematici.
Le prime testimonianze storiche sulla presenza di questo formaggio, prodotto dalle aziende agricole delle abbazie, risalgono alla seconda metà del XIII secolo. Di certo si sa che furono i monaci benedettini di San Giovanni a Parma, che avevano grance nella Val d’Enza, i padri dello sviluppo della tecnologia necessaria alla produzione del Parmigiano Reggiano, che si configura come una vera e propria conserva di latte di lunghissima durata.
Se si esclude il Settecento, in cui l’economia agricola e la produzione casearia vissero un momento critico, a causa delle frequenti guerre e delle epidemie di bestiame, la storia del Parmigiano è sempre stata in ascesa. E si è consolidata all’inizio del Novecento, quando sono state introdotte le migliorie produttive tuttora in uso.
Il Parmigiano Reggiano, insignito della Denominazione d’Origine Protetta dalla Comunità europea nel 1996, è un inno alla tradizione. Anzitutto, perché solo in quest’area della Pianura Padana si sono create le condizioni, non solo storiche, ma anche ambientali, per dar vita al prodotto. È una terra, infatti, che permette, allora come oggi, un foraggio di ottima qualità, con batteri (provenienti dal terreno) che consentono di ricavare un capolavoro caseario (proprio perché, durante la stagionatura, il Parmigiano Reggiano viene trasformato da questi batteri, è l’unico formaggio che può essere mangiato anche da chi è allergico al lattosio; infatti… non ne contiene!).
Poi, il Parmigiano Reggiano non può essere fabbricato industrialmente, ma solo dalle mani esperte del casaro, seguendo, come un rituale, regole antiche e mai mutate in otto secoli. L’unica differenza fra una forma del Duecento e una attuale sta nelle dimensioni maggiori e nel controllo qualità che, grazie al Consorzio di Tutela, assicura il rispetto del severo disciplinare di produzione.
Il Parmigiano Reggiano, prodotto senza l’aggiunta di additivi né conservanti, con latte di bovine alimentate esclusivamente a fieno, è un integratore alimentare naturale. A fronte di un basso contenuto in grassi, è ricchissimo di proteine, minerali, in particolare calcio, ma anche fosforo, potassio, magnesio e zinco, e vitamine, come la A, la B6 e la B2. Con una gran virtù: l’alta digeribilità, che lo rende particolarmente adatto all’alimentazione di bambini, anziani e sportivi. Inoltre, per i cultori della buona tavola è un formaggio che si può assaporare in ogni occasione e in abbinamento con quasi tutte le pietanze. Anche in versione dolce. Per esempio, in un gelato, una cheesecake, un crumble di frutta, una pannacotta (segue).
 
Mariagrazia Villa
 
Fotografie: © Musei del Cibo della provincia di Parma

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