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“Disanapianta”: piccole donne Braglia in cucina (parte II)

2017-05-26 All’associazione culturale “Disanapianta”, che svolge un importante ruolo di prevenzione primaria attraverso la cultura dell’alimentazione naturale, ciascuna delle sorelle Braglia porta il suo contributo e compensa quello delle altre. Francesca è colei che lancia le idee, la forza propulsiva, Lorella è l’elemento creativo che permette all’idea di prendere una forma, Silvia è il necessario richiamo alla realtà, che valuta quanto un’intuizione, per creativa che sia, possa essere concretamente fattibile.
Uno dei pensatori più interessanti del momento, l’americano Daniel Pink, afferma che la Conceptual Age avrà sei sensi. Il primo è il progetto che va oltre la mera funzione delle cose. Qual è il progetto che vi guida, Francesca, Silvia e Lorella?
«Aumentare la consapevolezza alimentare e migliorare la vita nostra e degli altri. Fungere da attivatori di domande di nuovi percorsi, che le persone possono intraprendere per ampliare la loro conoscenza e consapevolezza in ambito alimentare. Nel fare questo, la coerenza è un elemento cui ci richiamiamo sempre, cercando di migliorare la nostra stessa vita e facendoci da specchio l’un l’altra. Lavorare con gli altri ci ha dato modo di confrontarci con l’immagine che abbiamo di noi. E ci ha insegnato a destrutturare il nostro ego, che a volte può prendere il sopravvento. Insomma, “Disanapianta” è come una palestra per imparare a essere sempre più presenti a noi stesse».
Il secondo senso del futuro è la storia, non solo il tema in sé. Che cosa raccontano i vostri piatti?
«Diverse storie, insieme. Per Lorella raccontano storie di ricerca sulla ricetta, di viaggi e di esperienze e di estetica del piatto, per Silvia raccontano storie di praticità, di esigenze famigliari e di funzionalità a fini nutritivi, per Francesca raccontano storie di aspetti scientifici del cibo, di valori nutrizionali connessi al benessere psicofisico e di valori sensoriali che coinvolgono, non solo la vista, ma anche il gusto, il tatto, l’udito e l’olfatto. Le nostre ricette, ne abbiamo messe a punto più di mille in questi anni, raccontano tante storie ma, paragonate a una musica, sono pacate, non urlano. Sono ricette essenziali. All’inizio, avevamo una mano più generosa nei condimenti, nei profumi e nelle spezie, forse per il timore che il piatto risultasse scarno e le persone potessero fare l’equazione “naturale uguale triste”, ma ora siamo sicure che i nostri piatti possano essere apprezzati. Sono buoni e sostenibili, dal punto di vista nutrizionale, per cui siamo serene nel dire che vanno bene così».
Il terzo senso dell’età concettuale sarà la sinfonia, assai più della focalizzazione. Quante filosofie alimentari cercate di unire in una sinfonia?
«Senz’altro la macrobiotica, da cui siamo partite. L’ayurveda, le cucine etniche in generale. Quella del bacino del Mediterraneo, ma anche di Giappone, Cina e Indonesia. Tutte queste cucine le abbiamo integrate con un atteggiamento scientifico, per essere serie e affidabili. Nello svolgimento della nostra professione, cerchiamo di portare elementi che abbiamo una convalida scientifica. Creiamo una sinfonia di cucine perché crediamo che il cibo possa curare, e conoscere l’epidemiologo Franco Berrino, quando era all’Istituto nazionale tumori di Milano, ci ha dato molto slancio in questo senso. Cerchiamo di farlo comprendere alle persone e non ci risparmiamo: condividiamo tutto quanto sappiamo! Non prescriviamo diete, ma trasmettiamo uno stile di vita, dando gli strumenti perché le persone, da sole, possano prendersi cura di se stesse e assumersene la responsabilità».

Mariagrazia Villa

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