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La chef Maria Amalia Anedda, tra studio e vocazione (parte I)

2017-01-06 È stato di fronte ai tomi di Diritto Privato che Maria Amalia Anedda si è detta: «Avvocato? No, grazie». Se proprio c’era qualcosa da imparare a memoria, meglio farlo con un timballo o uno zuccotto.
E ha visto giusto. A 26 anni, la giovane chef parmigiana ha già collezionato più di un successo. Qualche mese fa è arrivata terza nella gara di cucina tra chef professionisti del programma televisivo “Top Chef Italia”, mostrando creatività e determinazione.
La incontriamo nella cucina “di una volta” della sua casa di famiglia, nella prima campagna parmense. È un nebbioso pomeriggio d’autunno, ma Maria lo illumina con i suoi irresistibili sorrisi, molto emiliani, che mettono subito di buon umore.
Com’è nata, Maria, la sua passione per la cucina?
«Crescendo in una buona famiglia emiliana in cui si è sempre mangiato bene, ho sempre avuto a cuore il cibo e… sono sempre stata paffutella. Potrei dimagrire, sì, ma così sono felice! La mia passione non è nata da un percorso scolastico, ma da una sana passione per il cibo, che ho voluto tradurre, non con poca fatica, in una professione. Ho fatto il liceo classico e un inizio di Giurisprudenza... ma lo studio mnemonico era per me una sorta di gabbia. Volevo essere più libera. Sono una mente creativa: amo l’arte, la poesia... Così, a quasi vent’anni, quando mi sono resa conto della strada che c’era tra me e il diventare avvocato, ho cambiato idea».
E ha comunicato ai suoi genitori che si sarebbe iscritta ad Alma, la Scuola internazionale di cucina italiana di Colorno.
«Vengo da una famiglia dove sono tutti laureati, per cui i miei all’inizio hanno cercato di scoraggiarmi. Ma alla fine mi sono iscritta. Dopo aver conseguito il diploma di Tecniche di base, ho seguito il Corso superiore di cucina italiana di due anni. Qui, mi sono sentita come il pesce nell’acqua: avevo finalmente trovato il mio mondo! Non ho mai fatto un’ora di assenza... Lo studio era facile per me: tutto parlava al mio cuore e Alma sapeva trasmettermi un grande entusiasmo!».
Dopo essersi diplomata ad Alma a 22 anni a pieni voti…
«Sono andata a lavorare dal cuoco milanese Marco Viganò, al ristorante “Aux Anges” di Roanne, vicino a Lione. Poi sono andata a Parigi, dal famoso Alain Ducasse, chef del ristorante “Jules Verne”, al secondo piano della Tour Eiffel, dove ho conosciuto Jacopo Bracchi, originario di Milano, che è diventato il mio compagno».
Da allora, le vostre strade non si sono più separate.
«Abbiamo la stessa età, ma lui ha più esperienza lavorativa di me. Insieme siamo andati al ristorante “Il Vino” di Enrico Bernardo a Parigi, e poi a Bordeaux, nel Castello d’Agassac, immerso nelle vigne del Médoc. Qui, abbiamo avuto in mano la gestione totale del ristorante. Avevamo una piccola cucina di 12 metri quadrati e la brigata era fatta solo da noi. Pur con le dovute difficoltà iniziali, io e Jacopo abbiamo lavorato molto bene insieme». Come vi completate? «Nella coppia, io sono la parte creativa, estrosa, mentre Jacopo è lo spirito organizzativo, la parte più razionale che riporta i progetti sulla terra e passa le mie idee al setaccio per valutarne la fattibilità. A me piacciono le cose buone e di sostanza, mentre lui è più esteta, è più attento alla cura del piatto, al gioco delle consistenze e dei colori».

Mariagrazia Villa

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