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Cecilia Mattioli: dalla madeleine di Proust al pane della nonna

2017-12-01 L’hobby preferito di Cecilia Mattioli, una delle blogger più interessanti della rete, è la lettura. Non ha un genere che preferisce: le piace variare e spaziare in tutti gli ambiti letterari, dalla narrativa alla saggistica. È curiosissima e non si stanca mai di imparare cose nuove.
Una laurea in lettere classiche con una tesi in grammatica greca, un lavoro in Coop Alleanza 3.0, all’interno della Direzione Politiche Sociali, e un blog personale, in cui parla di letteratura e, ogni tanto, anche di cinema ed eventi culturali.
L’ultima volta, Cecilia, in cui hai mangiato bene.
«Credo che il segreto per mangiare sempre bene stia nelle aspettative che riponiamo nel cibo. Per me mangiare bene significa mangiare cose semplici, quindi io mangio sempre bene. La cosa di cui vivrei, nel senso che non mi stanco mai di mangiarla, è la pizza, quindi potrei quasi dire che è il mio piatto preferito. Tornando alla tua domanda, quando io e Riccardo vogliamo mangiare bene a Ferrara, scegliamo il ristorante “Centrale” che prepara piatti tipici ferraresi fatti in casa davvero buonissimi. Ci siamo andati mercoledì scorso e abbiamo mangiato divinamente».
Qual è la ricetta che ti viene meglio?
«Adoro preparare gli insalatoni. Trovo che sappiano gratificare la mia (poca) creatività e mi danno grande soddisfazione nel mangiarli. Mi piace il fatto che quando preparo un insalatone vale tutto; non esistono abbinamenti vietati, anche se è indispensabile non accostare ingredienti del tutto antitetici. Totalmente da evitare l’uovo e la cipolla che non mi piacciono in nessun modo».
C’è un piatto in cui vorresti cimentarti?
«La sfoglia per la pasta all’uovo e il pane, perché mi piace la storia che questi due piatti raccontano. Mi ricordano i pomeriggi trascorsi con la mia nonna paterna a guardare la magia degli ingredienti che si compongono per creare cibi così semplici ma anche così affascinanti. Del resto la meravigliosa Sofia Loren, nel libro “In cucina con amore”, sostiene che “una donna che sa fare la pasta a regola d’arte ha un prestigio che resiste anche oggi a qualsiasi altro richiamo dei tempi”».
Quali qualità apprezzi in un cuoco?
«La semplicità, senza alcun dubbio. Ritengo che il cuoco bravo davvero sia quello che fa innamorare dei piatti semplici, possibilmente della tradizione. I piatti troppo elaborati, che uniscono in maniera inutilmente sofisticata molti sapori, non mi hanno mai convinto. Chi è bravo a cucinare riesce a conquistarmi anche e soprattutto con piatti che abbiano pochissimi ingredienti. Non è un caso che la pizza che preferisco sia la margherita e che il primo che adoro sia la pasta in bianco o con la passata di pomodoro».
Esiste una ricetta letteraria, ossia trovata in un libro, che ti ha colpito?
«La madeleine di “Alla ricerca del tempo perduto”, senza nessuna esitazione. Mi piace come Proust descrive la suggestione e il potere evocativo di un cibo della sua infanzia. L’importanza della madeleine sta nel ricordo e non in essa in quanto tale. Fantastico, no? E poi “Chocolat”, un romanzo meraviglioso con una pasticceria letteralmente da favola. Mi piacerebbe saper fare i dolci, i pasticcini e i cioccolatini, anche se non sono una persona golosa».
Che significato ha per te il cibo?
«Devo ammettere che non dedico molto tempo all’arte del mangiare. Amo moltissimo la compagnia e mi piace anche cenare con gli amici, ma provengo da una famiglia nella quale la cultura del cibo non è mai esistita per davvero. È un momento importante, perché si sta insieme, ma non lo riconosco come un rituale. Lo stesso vale quando vado a cena fuori. Rimango seduta a tavola il tempo necessario per mangiare, poi preferisco alzarmi e spostarmi altrove per il dopo cena».
 
Mariagrazia Villa

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