Flowers

Lo chef Terry Giacomello di “Inkiostro”: tu chiamale, se vuoi, emozioni (parte II)

2017-05-17 Prosegue la nostra piacevole chiacchierata con Terry Giacomello, dal 2015 chef del ristorante stellato “Inkiostro” di Parma (una sola stella per ora, ma siamo certi che il suo firmamento sarà destinato a fare ancora di più luce).
Di stellare, Terry non ha solo il locale in cui lavora, ma ha anche il curriculum, che lo ha portato nei templi della gastronomia internazionale. Dal “Noma” di René Redzepi a “El Bulli” di Ferran Adrià, per anni eletti come migliori ristoranti al mondo, secondo la classifica annuale stilata dal mensile britannico “Restaurant”.
Terry, che ha iniziato la sua professione nel ristorante di famiglia vicino a Pordenone, ama profondamente il suo mestiere e lo interpreta con la modestia dei grandi, la dedizione degli entusiasti e l’audacia degli innovatori. Sa bene che, in cucina, non esiste alcun limite. E che i prodotti locali si possono valorizzare anche sgattaiolando via dalla tradizione. Prendiamo il Prosciutto di Parma, per esempio. Terry non si sogna nemmeno di utilizzarlo affettato o a cubetti. Ne usa il brodo o ne cucina il midollo dell’osso…
Qual è la tua filosofia di cucina, Terry?
«È la parte più difficile del mio lavoro… È non essere banali, è dare delle emozioni al cliente attraverso la creatività e riuscire, tramite i piatti, a regalare un sorriso. La cucina è un linguaggio, un modo di esprimersi. È rendere felice il cliente per un po’ di tempo, facendolo divertire e partecipare».
Cos’è per te la creatività?
«La libertà! Se dovessi darne una definizione, direi che è vedere qualcosa che gli altri non riescono a vedere. La cucina creativa è una cucina che ti fa pensare e che ti suscita un’emozione, come un’opera d’arte».
Cosa ti da più soddisfazione nel tuo lavoro?
«Vedere il cliente contento, che ti dice: wow, questo è un viaggio, è un'esperienza, è come andare in un museo, a teatro, al cinema…».
E la difficoltà maggiore che incontri?
«Trovare dei piatti che diano gioia al cliente. Tra l’idea di un piatto e il metterlo in carta ci possono volere venti o trenta giorni, lavorandoci tre, quattro ore ogni giorno. Ci vogliono tante prove. Soprattutto, se unisco materie prime che non provengono dalla stessa tradizione gastronomica o che non sono mai state accostate».
Che valore ha per te la sperimentazione?
«È fondamentale. Ultimamente mi avvalgo della collaborazione di Davide Cassi, docente di Chimica e fisica dell’alimentazione all’Università di Parma, per la cucina molecolare, e di un botanico di Reggio Emilia, Villiam Morelli, per lo studio delle erbe».
Se non avessi fatto lo chef, cosa avresti fatto?
«Lo chef! Anche più di così».
Che qualità pensi di possedere come chef?
«Soprattutto lo spirito di collaborazione, perché il dono della creatività puoi averlo, ma nasce anche da un confronto con il gruppo con cui lavori, non solo dentro di te. La creatività è un brain storming, è un gioco di squadra».

Mariagrazia Villa

Fotografie: Adriano Mauri

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Iscriviti alla newsletter di SapienStone e rimani sempre aggiornato!