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La giornalista Rossella Canadè, tra penne all’arrabbiata e inchieste sulla mafia

2017-08-09 È sempre stata una forza della natura. Da qualche anno, Rossella Canadè è anche una forza del giornalismo d’inchiesta. Quello coinvolgente, rivelatore e penetrante, che ha fatto grande la tradizione del giornalismo italiano.
Giornalista e scrittrice, Rossella è redattore alla Gazzetta di Mantova, quotidiano del Gruppo Repubblica-Espresso. Ha lavorato nella redazione di Parma dell’Unità e a Ultime notizie. Ha scritto reportage da Somalia, Ruanda, Iraq, Bosnia, Serbia, Romania e Brasile.
Attualmente, si occupa soprattutto di cronaca nera e giudiziaria, con particolare attenzione al tema della criminalità organizzata e degli insediamenti della mafia al Nord. Grazie ai suoi servizi sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nel mantovano, la Commissione nazionale antimafia e la Procura di Mantova hanno aperto delle inchieste.
È una delle autrici di Ndrangheta all’emiliana, edito da La Repubblica nel 2015. Ha collaborato al libro Punto Condor. Ustica il processo di Daniele Biacchessi e Fabrizio Colarieti. Ha scritto un testo teatrale sulla condizione femminile tra ironia e denuncia, Senza tacchi, messo in scena da Europateatri, e un libro-inchiesta, Fuoco Criminale, pubblicato quest'anno da Imprimatur Editore.
Il primo pensiero, Rossella, quando entri in cucina?
«Oddiomio, che casino!».
Il piatto più rappresentativo della tua vita e perché.
«Le Penne all’arrabbiata, perché sono state l’unica cosa che mi ha tenuto in vita in un periodo molto triste, in cui non mangiavo nulla ed ero dimagrita tantissimo. Ancora oggi, per me sono il piatto della sopravvivenza».
Il vino che ti fa battere il cuore?
«Is argiolas, perché è un vino sardo ed è molto evocativo della Sardegna: è un bianco, estivo, ma molto strutturato. Per me vuol dire mare e vacanza».
Cos’è per te il top in cucina?
«Il micro-onde».
Quale ingrediente non può mai mancare?
«Il peperoncino, perché mi salva tutti i piatti e mi mette allegria».
Qual è l’oggetto più divertente che hai in cucina?
«Le posate di legno della Tanzania, che arrivano da un mio viaggio: ormai sono fracassate e inutilizzabili, ma hanno dei disegni che mi piacciono tanto».
L’ultima volta in cui hai mangiato bene.
«Ieri sera in un’osteria sul Po. Si chiama “La Lumira” ed è a Gualtieri. Assaggi di tortelli squisiti: alla scamorza, alla cipolla, alle erbe, ai funghi…».
Qual è la ricetta che vorresti sperimentare?
«La zuppa di cicerchie con pancetta e pomodori secchi: me la prepara sempre il mio compagno, e mi dice che è facile, ma è talmente buona che secondo me non me la racconta giusta…».
Quali qualità apprezzi in un cuoco?
«Il coraggio, la voglia di sperimentare».
Che significato ha per te il cibo?
«Condivisione. Sono una buona forchetta e amo stare a tavola con i miei amici. Odio, invece, mangiare con le persone che non mi piacciono. Mi sembra un sacrilegio».

Mariagrazia Villa

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