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Il chitarrista classico Claudio Piastra: anche il cibo è musica

2017-11-13 “In assoluto una delle più interessanti registrazioni dedicate a Schubert, un cd da non perdere”. Questa è la motivazione del prestigioso “Globe” dell’American Records Guide, per uno dei cd del chitarrista classico Claudio Piastra.
Conosciuto in tutto il mondo, ha pubblicato una ventina di cd, per Fonit Cetra, Europa Musica, Koch International, Mondo Musica, Warner Fonit, Tempus, Le Chant de Linos, spesso segnalati dalla critica in maniera entusiasta. Attivo anche nel campo editoriale, il musicista è stato revisore e curatore di ben 45 volumi per Carish, Mnemes, Suvini Zerboni e Berbén.
Nato a Parma, Claudio ha tenuto più di mille concerti in festival e rassegne internazionali, sia come solista che collaborando con orchestre, direttori e solisti fra i più prestigiosi del panorama musicale. Numerose sono le sue partecipazioni a programmi televisivi e altrettanto frequente è la sua presenza in trasmissioni radiofoniche, che spesso gli hanno dedicato programmi monografici.
Titolare di cattedra presso l’Istituto Superiore di Studi Musicali “Achille Peri” di Reggio Emilia, viene invitato a tenere master in tutt’Italia e all’estero, dal Canada alla Francia, dall’Austria al Brasile, dall’Uruguay alla Spagna. Dal 2011 è Direttore artistico della famosa Accademia di Belle Arti Tadini di Lovere (Bergamo).
Il primo pensiero, Claudio, quando entri in cucina?
«La cucina è in assoluto il luogo della casa che prediligo, un ambiente che vivo in maniera diversa e molteplice rispetto agli altri luoghi della casa. Adoro mangiare in cucina e, addirittura, studiarci; frequentemente mi trasferisco lì con lo strumento. Non saprei dire perché, ma ho sempre la sensazione che la concentrazione aumenti.  Il primo pensiero che mi dà è l’idea di casa: viaggiando spesso mi ritrovo in alberghi, e lì puoi trovare, oltre alla camera e al bagno, un salotto, altri ambienti, ma mai una cucina, questa è una prerogativa della casa».
Il piatto più rappresentativo della tua vita e perché.
«Sono di Parma e di una famiglia di ristoratori, per cui non posso che rispondere gli “anolini” (alcuni li chiamano cappelletti). Adoro anche altri piatti, ma questo ha qualcosa di speciale anche nei ricordi. Natale, in particolare, ha il sapore dei ricordi d’infanzia, quando il profumo dello stracotto, con la sua cottura lunghissima, per alcuni giorni inondava la casa, poi la pasta fresca ed io che aiutavo mia madre a preparare gli anolini (allungando la mano per mangiarli crudi), il brodo di carne, il rito di qualcosa di magico…».
Il vino che ti fa battere il cuore.
«Bevo poco e normalmente il lambrusco, ma il cuore batte per i vini piemontesi, in particolare il Ghemme, il Fara e il Sizzano. Da parte di madre sono piemontese e da bambino le estati, per me magiche, le trascorrevo in quelle zone. Ricordo, durante le vacanze, i pomeriggi, io bambino a rimorchio, passati fra le cantine di quelle zone ad accompagnare mio zio e mio padre a cercare bottiglie. Ancora oggi ne conserviamo alcune, rese preziose dalle annate, come un Barolo del ‘47, un Barbaresco del ‘56 e, in particolare, alcune bottiglie di Fara del ‘64 (curiosamente la mia data di nascita)».
Cos’è per te il top in cucina?
«Il piano di lavoro? A parte gli scherzi, top è la possibilità di condividere con la famiglia lo stare insieme in intimità, senza formalismi, intorno ad un tavolo e questo indipendentemente da quello che si mangia. La sala da pranzo, ad esempio, non è la stessa cosa della cucina: riveste tutto di un aspetto formale quasi distante» (segue).
 
Mariagrazia Villa

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