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Foto&Food: Antonella Bozzini (parte II)

2018-01-25 Stando ai parametri dello scrittore e gastronomo spagnolo Manuel Vásquez Montalbán, Antonella Bozzini è una persona degna di fiducia. Perché non è indifferente al cibo. Anzi, lo ama follemente e, da ormai vent’anni, lo fotografa con entusiasmo.
Milanese, Antonella lavora con gli chef più famosi al mondo, quelli che sono diventati le nuove rock-star della contemporaneità, e porta avanti progetti di ricerca. In entrambi i casi, dimostra di essere uno dei più importanti fotografi di food del momento.
Per lei, Antonella, esistono delle similitudini tra fotografia e cucina?
«Sì, ci sono delle affinità. Sono entrambe attività creative, che lavorano sulla sperimentazione. La pazzia di base è la stessa… E sia nella fotografia che nella cucina ci vuole la passione per quello che si fa. Solo così si dà il meglio».
La food photography cosa dovrebbe trasmettere alle persone, secondo lei?
«Innanzitutto, la passione per il cibo, la curiosità di andare ad assaggiare quello che è stato fotografato, prodotto o piatto che sia, e il desiderio di voler entrare nel mood e nel mondo dello chef che lo ha pensato. Poi, una fotografia di food può suscitare emozioni, così come la cucina. Io lego tutto alle emozioni: questo mi porta delle sfide piuttosto che delle scoperte».
Qual è il servizio fotografico, tra quelli che lei ha fatto, che meglio la rappresenta? E perché?
«Sinceramente, per la mia indole acquariana, tendo a fare reset su tutto il lavoro precedente. Ogni volta, è una nuova storia, una nuova sfida, un nuovo entusiasmo. Mi rivolgo sempre al futuro. Tendo ad abbandonare il passato, anche perché sono ipercritica con me stessa, spesso trovo delle criticità nei miei servizi fotografici».
Come nasce una sua foto di food?
«Se è la foto della ricetta di uno chef, mi confronto con lo chef stesso e cerco di capire cosa desiderino ottenere dall’immagine, non solo per gli ingredienti utilizzati, ma anche per la composizione del piatto. Io non faccio nient’altro che mettere la luce giusta e cecare la prospettiva giusta. Mi guidano gli chef al risultato finale. Se devo fare dei servizi diversi, ascolto la mia visione interiore. Ad esempio, di recente una rivista mi ha chiesto di fare il ritratto a un cespo di catalogna, una noce e un mandarino. In questo momento, mi sto facendo prendere da una luce da inverno nordico e da colori cupi, un po’ caravaggeschi. Sembrano interessarmi più le ombre che la luce, insomma. Così ho messo la catalogna su fondo nero…».
Disegna la sua visione, prima di fotografare?
«Porto sempre con me un moleskine e spesso mi fisso le idee durante la giornata. Oppure le annoto su dei post-it o su qualsiasi altro pezzo di carta mi capiti a tiro. L’appunto scritto è un promemoria della mia visione interiore. Ho un banco di lavoro incasinatissimo, dove ho tutto sotto mano e sott’occhio, tra cui i miei diecimila appunti. Non sempre li trovo, quando li cerco, ma mi conforta sapere che da qualche parte ci sono».
Qual è la maggior difficoltà che incontra, nel fotografare un soggetto come il cibo?
«Semplicemente una difficoltà tecnica: la degenerazione del prodotto, se impiego troppo tempo a fotografarlo. I piatti che fotografo sono tutti reali, non c’è nulla di finto».

Mariagrazia Villa

Fotografie: Antonella Bozzini

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