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Chef Gino, l’idolo dei bambini americani

2017-10-30 Molti chef di successo hanno un ingrediente segreto. Chef Gino ce l’ha simpatico. È l’allegria. Tanta, dirompente, scoppiettante. La utilizza sempre: quando impasta uova e farina per fare la sfoglia, quando mette sul fuoco una padella per preparare un sugo, quando si fa roteare sulla testa l’impasto di una bella pizza.
È questo il motivo per cui Chef Gino, al secolo Gino Campagna, ha stregato i bambini americani. Trasferitosi quasi trent’anni fa a Los Angeles, in California, per un po’ di tempo ha lavorato con il fratello, che è grafico pubblicitario, e poi… via! si è lanciato a spiegare la cucina italiana ai più piccoli.
Spiegazioni in cui si balla, si canta, si fa teatro, si raccontano storie, si fanno giochi di prestigio e, naturalmente, si mettono le mani in pasta. Un’esperienza così gioiosa e istruttiva che Disney Channel non se l’è fatta certo scappare. E oggi, Chef Gino è l’idolo dei bambini stelle e strisce.
La sua è una vera missione: partecipa agli show televisivi, tra cui uno in cui insegna a cucinare ai ragazzi Down, recita in spot pubblicitari, viene chiamato come guest star alle feste private e agli eventi mondani di Hollywood, tiene una rubrica sull’Huffington Post, viene interpellato come consulente marketing da aziende italiane, come Ferrero e Barilla. È il co-fondatore della non profit Piccolo Chef Foundation”, insieme con l’Istituto di cultura italiana a Los Angeles, e fa parte della squadra di cuochi del progetto “Food Revolution” dello chef inglese Jamie Olivier.
Quando e come ti sei avvicinato al mondo della cucina, Chef Gino?
«Io sono di Parma, del quartiere Oltretorrente, e da quando sono nato, la cucina, intesa come spazio fisico, è sempre stata al centro della mia vita. Da quando aiutavo la mia mamma Pinuccia a dare l’impronta agli gnocchi col pollice o da quando usavo la mezzaluna per tagliare il prezzemolo. Crescendo e girando il mondo, mi sono poi ritrovato addosso una reputazione da “italiano”, quindi di buon gustaio e cuoco. Ho sempre cucinato, ma quando sono arrivato in California nei primi anni novanta, mi sono accorto che i bambini americani non sapevano nulla di cucina e di ingredienti ed è stato lì che ho deciso di intraprendere la mia carriera di istruttore culinario per bambini».
Qual è la tua principale soddisfazione nel fare cultura alimentare ai più piccoli?
«Io ho sempre lavorato con i bambini, prima come animatore pedagogico in Italia, poi come istruttore culinario qui negli States. La soddisfazione più grande, lavorando con i bambini, si prova quando c’è la consapevolezza di avere apportato una piccola differenza nella vita di qualcuno, di avere influenzato positivamente abitudini e comportamenti».
E la principale difficoltà che hai incontrato?
«La difficoltà che ho riscontrato qui in America non è stata con i bambini, casomai con i genitori. L’americano medio non cucina da generazioni ormai, per lui cucinare è quasi un’arte dimenticata ed è difficile convincere i genitori, non i bambini, a tornare tra i fornelli…» (segue).
 
Mariagrazia Villa

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